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Realizzare un investimento produttivo all’estero: vantaggi e svantaggi

Con la giusta pianificazione e strategia, un investimento produttivo oltreconfine può aprire nuovi orizzonti e contribuire al successo a lungo termine di un’azienda.

Negli ultimi decenni, la globalizzazione ha aperto nuove opportunità per le imprese, spingendole non solo a vendere i propri prodotti e/o servizi oltre i confini nazionali, ma anche a cercare nuovi mercati nei quali spostare o integrare l’attività produttiva.

L’attività di esportazione e l’IDE (Investimento Diretto Estero), così come viene definito l’investimento che un’impresa compie al di fuori del proprio paese d’origine, sono le due facce, spesso consequenziali, del processo d’internazionalizzazione di un’azienda. L’IDE, infatti, è forse la forma più “hard” di internazionalizzazione, nel senso che spesso costituisce l’ultimo stadio di espansione di un’impresa nel suo percorso di crescita sui mercati esteri, che inizia in genere con un investimento di tipo commerciale, come ad esempio l’apertura di un punto vendita o di un ufficio di rappresentanza.

La filiale di produzione all’estero, invece, può essere realizzata come:

  • unità per il montaggio o l’assemblaggio di componenti, spediti dall’Italia e/o da altri paesi fornitori (assembly);
  • unità di produzione con capitale misto italiano e locale (joint venture)
  • unità di produzione posseduta al 100% da capitale italiano;
  • acquisizione di imprese già esistenti sul mercato attraverso operazioni di Merger & Acquisition (M&A).

Partendo quindi dall’importanza strategica di riuscire a bilanciare internazionalizzazione commerciale (export) e quella produttiva (IDE), non sempre una strategia aziendale orientata esclusivamente alla semplice esportazione di prodotti e servizi può rilevarsi vincente. Spesso infatti esportare in un determinato mercato, senza avere strutture produttive in loco, può rivelarsi eccessivamente oneroso, considerati i costi di trasporto, la presenza di barriere tariffarie e la necessità di entrare e consolidarsi dal punto di vista commerciale in quel mercato. Per alcune imprese, specie quelle che hanno rapporti consolidati con clienti esteri o che fanno parte di una filiera produttiva che come azienda capofila ha una multinazionale con insediamenti produttivi fuori dall’Italia, diventa più conveniente procedere sulla strada degli investimenti diretti all’estero. Molti investimenti diretti all’estero di PMI italiane nascono proprio con l’esigenza di seguire l’impresa cliente all’estero, al fine di rendere efficiente la catena di distribuzione.

Ma non tutte le aziende che appartengono a una filiera produttiva transnazionale hanno convenienza a investire direttamente all’estero. Cruciale in questo senso è la dimensione d’impresa, che può sì crescere a seguito dell’IDE, ma che nel contempo deve essere sufficiente a supportare lo sforzo organizzativo e finanziario richiesto. Questa forma alternativa di insediamento diretto nei mercati esteri, sia per l’impegno finanziario richiesto, sia per quello organizzativo, tecnico e manageriale, infatti, è maggiormente ad appannaggio delle grandi imprese esportatrici, meglio se già presenti nel mercato da tempo.

Inoltre, quando si opta per questa scelta di sviluppo internazionale, bisogna essere consapevoli che si tratta di una strategia a lungo termine che non produrrà i suoi ritorni in termini economici e finanziari se non dopo un discreto lasso temporale.

Realizzare un investimento produttivo all’estero è quindi un passo significativo per un’impresa ed è una decisione complessa che comporta vantaggi e svantaggi da considerare attentamente. Analizziamo insieme quali sono i pro e i contro di un investimento produttivo oltreconfine, cercando di capire quali sono le implicazioni di tale scelta.

Vantaggi

Gli aspetti positivi derivanti dall’adozione di una strategia di investimento produttivo diretto sono oggettivamente molti:

  1. costi di produzione ridotti: in alcuni paesi, i costi di manodopera e di produzione possono essere significativamente inferiori rispetto al mercato nazionale. Questo si traduce in un maggiore margine di profitto per l’azienda a parità di prezzo di vendita.
  2. benefici fiscali e agevolazioni: alcuni paesi offrono incentivi fiscali, agevolazioni e facilitazioni per attirare gli investimenti stranieri, come ad esempio le Zone Economiche Speciali (ZES). In molti casi è possibile anche aggirare i divieti di importazione oppure evitare di pagare elevati dazi sui beni esportati. Questi vantaggi possono ridurre l’onere fiscale e migliorare l’efficienza economica dell’azienda, riducendo così l’impatto che tali costi hanno sulla struttura aziendale.
  3. competenze tecniche e professionali locali: in alcuni paesi esistono know how specifici che possono essere particolarmente vantaggiosi per le aziende che li ricercano. Ricorrere a risorse locali altamente specializzate e, spesso, a costi più contenuti rispetto al paese di origine, è un fattore che porta a una maggiore efficienza e produttività.
  4. maggiore controllo: su produzione, brevetti, know-how e tecnologie, marketing mix, rete distributiva;
  5. gestione del rischio valutario: espandendo la produzione all’estero, un’azienda può ridurre l’esposizione al rischio di cambio. La diversificazione delle operazioni in mercati con valute diverse può proteggere dai fluttuamenti valutari sfavorevoli.
  6. prossimità ai clienti: avviare l’attività di produzione anche all’estero può avvicinare l’azienda ai clienti internazionali, migliorando il servizio clienti, i tempi di consegna e la comprensione delle esigenze del mercato locale.

Rischi e svantaggi

Per sua stessa natura, oltre ad aprire vasti orizzonti, questo investimento può anche presentare alcuni rischi e svantaggi:

  1. elevati costi di avviamento: per realizzare un investimento di questo tipo bisogna disporre di un capitale proprio o di altre fonti di finanziamento non indifferenti;
  2. complessità organizzativa: espandere le attività all’estero comporta una maggiore complessità organizzativa e amministrativa. L’azienda dovrà affrontare nuove normative, leggi e pratiche commerciali del paese ospitante, che spesso possono differire non di poco rispetto a quelle nel paese di origine.
  3. barriere culturali e linguistiche: la diversità culturale e linguistica può rappresentare una sfida per l’azienda. La comunicazione e la gestione delle risorse umane possono richiedere sforzi aggiuntivi per superare le barriere linguistiche e culturali.
  4. rischio politico ed economico: gli investimenti all’estero sono facilmente influenzati da cambiamenti politici e instabilità economica nel paese ospitante. Eventi come cambiamenti legislativi, conflitti interni o crisi economiche possono incidere negativamente sulle operazioni dell’azienda.
  5. logistica e trasporti: la distanza geografica può comportare costi logistici elevati e tempi di consegna più lunghi verso il mercato di origine. La gestione della supply chain internazionale richiede un’attenta pianificazione e coordinamento;
  6. protezione della proprietà intellettuale: in alcuni paesi, la protezione della proprietà intellettuale potrebbe essere meno rigorosa rispetto al paese di origine dell’azienda. Questo può esporre l’azienda a rischi di violazioni del copyright, plagio o contraffazione.

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Realizzare un investimento produttivo all’estero può rappresentare un passo strategico decisivo per un’azienda alla ricerca di nuove opportunità di crescita e di riduzione dei costi. Tuttavia, è essenziale condurre un’analisi approfondita del mercato di destinazione, valutare attentamente i rischi e le opportunità, e sviluppare piani di gestione adeguati per affrontare le sfide che si presenteranno. La scelta del paese ospitante, la comprensione delle sue leggi e culture, la protezione della proprietà intellettuale e la gestione efficace delle risorse umane saranno fattori determinanti per il successo dell’investimento all’estero.

 

 
 
 
 

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